martedì 8 gennaio 2013

La regola del silenzio

L'ultimo film di Redford è come spesso accade per questo regista un film abbastanza lento nonostante si fosse presentato come un thriller in stile fuga/inseguimento. Personalmente il film non mi è dispiaciuto anche se poi quando le luci si riaccendono ti rimangono nella testa alcuni elementi della trama che non tornano, alcuni tasselli che non sono al posto giusto. Innanzitutto c'è una certa confusione sull'importanza delle varie linee narrative; le due principali, ovvero quella del fuggiasco Redford e quella del giornalista LaBeouf, sembrano avere entrambe la stessa importanza, ma entrambe alla fine finiscono senza alcun colpo di scena particolare, quasi nell'anonimato. Soprattutto la storia del giovane giornalista assume i contorni della favoletta perchè non rispetta alcuna logica legata al realismo. Abbiamo infatti un giovane giornalista di un piccolo quotidiano locale che scopre dei terroristi che si nascondevano tranquillamente da più di 30 anni, fa domande e ottiene risposte da tutti neanche fosse un agente dell'FBI, diventa chissà perchè l'unico depositario delle verità dei vari protagonisti e poi alla fine si trova di fronte ad una scelta del tutto banale che ci viene presentata come se fosse il più grave dei dilemmi etici. Insomma proprio non funziona, soprattutto per il finale, questo percorso compiuto dal giovane giornalista alla ricerca di una verità che gli viene sempre e senza alcun motivo offerta su un vassoio d'argento. 
Più interessanti risultano alla fine le riflessioni che il regista vuole fare sul terrorismo, sul pentimento, sul rimorso, sul perdono. A noi italiani che abbiamo conosciuto la stagione del terorrismo dovrebbero interessare questo argomento. Quanto a lungo durano le colpe? E' giusto a volte perdonare o provare a  capire? Domande interessanti sulle quali Redford riflette nei momenti più lenti e noiosi del film che però alla fine diventano gli unici un po' stimolanti.

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