sabato 4 gennaio 2014

I 20 film da non perdere nel 2014

1.   THE WOLF OF WALL STREET di Martin Scorsese
2.   AMERICAN HUSTLE di David O. Russel
3.   NYMPHOMANIAC di Lars Von Trier
4.   THE BUTLER di Lee Daniels
5.   12 ANNI SCHIAVO di Steve McQueen
6.   NEBRASKA di Alexander Payne
7.   IDA di Pawel Pawlikowski
8.   SNOWPIERCER di Bong Joon-ho
9.   GREEN INFERNO di Eli Roth
10. THE ZERO THEOREM di Terry Gilliam
11. HER di Spike Jonze
12. TRANSCENDENCE di Wally Pfister
13. LOCKE di Steven Knight
14. MAPS TO THE STARS di David Cronenberg
15. ALLACCIATE LE CINTURE di Ferzan Ozpetek
16. NON BUTTIAMOCI GIU' di Pascal Chaumeil
17. FRUITVALE STATION di Ryan Coogler
18. A PROPOSITO DI DAVIS di Ethan e Joel Coen
19. DALLAS BUYERS CLUB di Jean Marc Vallée
20. MONUMENTS MEN di George Clooney

giovedì 19 dicembre 2013

Masterchef, si ricomincia!

Con la nuova edizione di Masterchef riprende anche l'attività di questo blog. Dopo la prima puntata è difficile fare commenti esaustivi anche perchè si tratta soltanto della fase di casting. Qualche spunto di analisi però lo possiamo trovare. 
Le due puntate sono state molto vivaci, senza nessun calo di tensione nè momento di stanca. Questo grazie ad un ottimo montaggio che come al solito rappresenta la vera cifra stilistica e distintiva di questo programma. I tre giudici sono stati più divertenti e sarcastici che cattivi; un piatto è volato, ma anche quello senza una vera arrabbiatura del buon Bastianich. Da spettatore spero che la severità dei giudici venga fuori con l'inizio della gara vera e propria. Questo lo prendiamo come un inizio un po' soft, giusto per entrare in clima, una sorta di riscaldamento pre-partita. 
Da notare, infine, la presenza delle solite storie molto costruite, casi umani per i quali provare compassione o pena che, a mio parere, se eccessivamente sceneggiate dagli autori rischiano di far perdere quel poco che ancora rimane di "illusione di realtà". 

venerdì 25 gennaio 2013

Daria Bignardi è troppo invasiva


A proposito della nuova edizione de Le Invasioni barbariche mi trovo piuttosto in disaccordo rispetto all'opinione espressa oggi sul Corriere da Aldo Grasso. A mio parere il programma nella sua nuova formula non funziona non tanto perché la presentatrice si senta ormai troppo scrittrice nè perché sia stata troppo morbida in alcune sue interviste. Il format non funziona per un motivo semplice: Daria Bignardi non è più una brava intervistatrice. Il suo approccio all'ospite appare sempre sbagliato; talvolta troppo morbido e accondiscendente, talvolta troppo distaccato e duro sembra non trovare mai una propria cifra stilistica. Con i tre giudici di Masterchef si fa prevaricare dalle domande incalzanti di Bastianich col quale praticamente inverte i ruoli; con Renzi ripete per 5 volte la stessa domanda formulandola in modo diverso senza ottenere la risposta che voleva dando così l'impressione di avere una scaletta molto rigida e di non sapere come andare avanti se le risposte che arrivano non sono quelle attese. Ma il peggio di sè, a mio parere, lo dà nell'intervista a Tiziano Ferro. Alle prime domande sulla sua storia d'amore finita sembrava Giovanni di Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba, quando insiste con Marina Massironi per sapere se è il suo fidanzato che l'ha lasciata; ci mancava che gli chiedesse se l'aveva tradito col suo migliore amico! Mette in difficoltà l'intervistato andando a scavare eccessivamente in fatti del tutto privati dei quali tra l'altro non ce ne importava proprio nulla. A un certo punto è proprio Ferro che le dice "basta con questo gioco al massacro". 


Insomma credo che per imparare a fare bene le interviste Daria Bignardi dovrebbe guardare ai grandi del passato come Enzo Biagi, oppure ai mostri sacri dell'intervista ironica come David Letterman e al di là di tutto cercare di dare al programma una cifra stilistica un po' più precisa e meno ondivaga. 

mercoledì 9 gennaio 2013

Non solo Masterchef - Vito con i suoi

Dato per assodato che il genere televisivo più seguito e prodotto attualmente è il Food show (o come si diceva una volta "il programma di cucina") e che il suo miglior esponente resta Masterchef, vorrei qui segnalare quella che ritengo una vera e propria chicca. C'è un programma sul canale Gambero Rosso (Sky 411) che si chiama "Vito con i suoi". I protagonisti sono il comico bolognese Vito (al secolo Stefano Bicocchi) e suo padre. Il programma è molto semplice: i due presentano una o al massimo due ricette per puntata e le cucinano insieme. Le cose che rendono questo programma interessante sono la semplicità della presentazione e della messa in scena, le genuinità che i protagonisti riescono a trasmettere e quel sapore di antico, di tradizione, di famiglia che ormai è sempre più raro. La simpatia del rapporto di Vito con il padre, le frasi in dialetto che si tenta di tradurre, l'evocazione del severo giudizio della madre presente soltanto in fotografia contribuiscono poi a donare un sorriso a chi guarda il programma. Un'altra particolarità è che le ricette che ci vengono proposte appartengono si alla tradizione bolognese/emiliana, ma soprattutto appartengono alla tradizione famigliare di Vito. E' questa la vera chiave del successo del programma, ovvero una famiglia come potrebbe essere quella dei nostri padri, dei nostri nonni, che apre le porte della propria cucina e ci fa entrare come ospiti graditi, una tradizione culinaria privata che viene tramandata ai figli e ai nipoti che altrimenti a fatica saprebbero che la pasta si può fare anche in casa, che i piatti per venire bene hanno bisogno di cura e soprattutto di tempo, questo maledetto tempo che sembra sempre sfuggirci e che invece bisogna ritrovare anche per cucinare, o quanto meno per dare un'occhiata a questo buon programma televisivo.

Ecco il link del programma per avere informazioni più dettagliate: http://www.gamberorosso.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=330143:vito-con-i-suoi&lang=it

martedì 8 gennaio 2013

La regola del silenzio

L'ultimo film di Redford è come spesso accade per questo regista un film abbastanza lento nonostante si fosse presentato come un thriller in stile fuga/inseguimento. Personalmente il film non mi è dispiaciuto anche se poi quando le luci si riaccendono ti rimangono nella testa alcuni elementi della trama che non tornano, alcuni tasselli che non sono al posto giusto. Innanzitutto c'è una certa confusione sull'importanza delle varie linee narrative; le due principali, ovvero quella del fuggiasco Redford e quella del giornalista LaBeouf, sembrano avere entrambe la stessa importanza, ma entrambe alla fine finiscono senza alcun colpo di scena particolare, quasi nell'anonimato. Soprattutto la storia del giovane giornalista assume i contorni della favoletta perchè non rispetta alcuna logica legata al realismo. Abbiamo infatti un giovane giornalista di un piccolo quotidiano locale che scopre dei terroristi che si nascondevano tranquillamente da più di 30 anni, fa domande e ottiene risposte da tutti neanche fosse un agente dell'FBI, diventa chissà perchè l'unico depositario delle verità dei vari protagonisti e poi alla fine si trova di fronte ad una scelta del tutto banale che ci viene presentata come se fosse il più grave dei dilemmi etici. Insomma proprio non funziona, soprattutto per il finale, questo percorso compiuto dal giovane giornalista alla ricerca di una verità che gli viene sempre e senza alcun motivo offerta su un vassoio d'argento. 
Più interessanti risultano alla fine le riflessioni che il regista vuole fare sul terrorismo, sul pentimento, sul rimorso, sul perdono. A noi italiani che abbiamo conosciuto la stagione del terorrismo dovrebbero interessare questo argomento. Quanto a lungo durano le colpe? E' giusto a volte perdonare o provare a  capire? Domande interessanti sulle quali Redford riflette nei momenti più lenti e noiosi del film che però alla fine diventano gli unici un po' stimolanti.

domenica 23 dicembre 2012

Masterchef - Seconda edizione

Leggo oggi una recensione positiva di Masterchef da parte di Aldo Grasso. Mi trovo ampiamente d'accordo sulla qualità del programma rispetto al panorama generale della tv italiana e in particolare rispetto agli altri programmi appartenenti allo stesso genere, ovvero il reality. Volevo soltanto far notare un paio di cambiamenti rispetto alla prima stagione della stessa trasmissione che ancora non mi convincono e che nelle prime quattro puntate mi hanno lasciato perplesso.
Prima di tutto quest'anno la ricerca del personaggio e del caso umano sembra ancora più spinta, più marcata e, cosa ancora più grave, più facilmente visibile agli occhi dello spettatore.
In secondo luogo il lavoro di post-produzione e montaggio interviene in questa edizione in modo ancora più deciso e si trasforma talvolta da montaggio invisibile che dovrebbe rendere molto più scorrevole e funzionale il racconto televisivo in montaggio visibile, netto, eccessivamente artefatto. La costruzione della narrazione è diventata a mio avviso molto più decisa, la mano degli autori molto più incombente. Anche da un punto di vista tecnico alcuni tagli di montaggio palesi creano incongruenze (per esempio inquadratura con 17 concorrenti al lato dello studio giustapposta ad uno stacco in cui erano ancora tutti nelle loro postazioni di cucina) che possono raffreddare l'empatia che si cerca di costruire tra spettatore e protagonista del reality.
Detto ciò il mio giudizio sul programma resta positivo e credo che insieme ad X Factor rappresenti uno dei segnali migliori che la tv a pagamento stia dando in questo periodo (soprattutto nei confronti di una generalista sempre più alla deriva).

venerdì 6 aprile 2012

Il ragazzo con la bicicletta



Cyril ha dodici anni, una bicicletta e un padre insensibile che non lo vuole più. ‘Parcheggiato' in un centro di accoglienza per l'infanzia e affidato alle cure dei suoi assistenti, Cyril non ci sta e ostinato ingaggia una battaglia personale contro il mondo e contro quel genitore immaturo che ha provato ‘a darlo via' insieme alla sua bicicletta. Durante l'ennesima fuga incontra e ‘sceglie' per sé Samantha, una parrucchiera dolce e sensibile che accetta di occuparsi di lui nel fine settimana. La convivenza non sarà facile, Cyril fa a botte con i coetanei, si fa reclutare da un bullo del quartiere, finisce nei guai con la legge e ferisce nel cuore e al braccio Samantha. Ma in sella alla bicicletta e a colpi di pedali Cyril (ri)troverà la strada di casa.


Note di regia: i fratelli Dardenne non abbandonano lo stile che li contraddistingue e continuano a seguire molto da vicino con la camera a mano i loro protagonisti. Questo stile di regia, più documentaristico che cinematografico, restituisce dal punto di vista visivo l'emotività del protagonista Cyril. La sua ansia di ritrovare il padre, la rabbia che fatica a contenere sono ben rappresentate dai continui movimenti di macchina, dalla concitazione di una regia perfetta nel penetrare nei sentimenti e nella psiche dei personaggi e nel coinvolgere lo spettatore rendendolo totalmente partecipe di ciò a cui sta assistendo. Altro aspetto interessante è la quasi totale assenza di accompagnamento musicale. Gli unici momenti in cui è presente una colonna sonora sono quelli in cui il padre rifiuta Cyril e nell'ultima scena, quando il ragazzo si allontana con la bicicletta. In entrambi i casi la musica è la stessa, ma se nel primo caso segnava l'abbandono del genitore, nell'altro sottolinea l'opposto, la corsa di Cyril verso una nuova (e finalmente serena) vita.


Temi

La famiglia che non c'è: in questo film la famiglia tradizionale è inesistente ed è sostituita da alcune tipologie anomale.
Il primo tipo di famiglia che incontriamo è quella allargata e sostitutiva rappresentata dall'istituto in cui risiede Cyril. Una soluzione temporanea dalla quale il ragazzo vuole continuamente fuggire per ricercare il padre.
La seconda famiglia è quella naturale, rappresentata per l'appunto dal padre di Cyril. Un padre che però ha di fatto abbandonato il figlio e che non ha alcuna intenzione di riprenderselo. Questa non è più una famiglia, ma è soltanto il ricordo di una famiglia che fu, ma che non potrà più essere. Inoltre non si fa mai riferimento alla madre, figura totalmente assente dal racconto.
La terza famiglia è quella che potremmo definire adottiva, rappresentata da Samantha. Una donna sola che sostituisce la figura materna, ma che ovviamente fatica a riempire il vuoto di un padre assente.
La quarta famiglia che incontriamo è quella rappresentata dal bullo che attira Cyril con secondi fini paventandogli l'idea di ospitarlo a casa sua, di dargli una nuova famiglia accogliente.
Infine abbiamo la famiglia composta da padre e figlio che entra in scena quando Cyril compie il furto. Una famiglia apparentemente normale che invece si rivela come una famiglia disonesta, pronta a coprire l'eventuale omicidio del ragazzo.

Uomini irresponsabili: il film è pieno di figure maschili caratterizzate dall'irresponsabilità.
Il padre di Cyril: un uomo che abbandona il figlio in istituto e che non vuole prendersi la responsabilità di allevarlo (dice “è troppo per me, non posso pensare a lui; mi sto rifacendo una vita e se c'è lui non funziona”). Addirittura quest'uomo non vuole neanche prendersi la responsabilità di dire chiaramente al figlio come stanno le cose, continuando ad illuderlo che un giorno lo chiamerà e delegando a Samantha il compito di dire al figlio la verità.
Il fidanzato di Samantha: un uomo che in teoria potrebbe diventare la figura paterna di Cyril. Invece non accetta di prendersi le proprie responsabilità e dice alla sua fidanzata di scegliere tra lui e il ragazzo.
Il bullo: un'altra possibile figura paterna alla quale Cyril si rivolge, un apparentemente “duro” che di fronte al rischio di finire nei guai scarica tutta la responsabilità sul ragazzino.
Uomo e figlio aggrediti: dapprima vittime di Cyril e apparentemente portatori di normalità all'interno del film, rivelano un lato oscuro quando credendo di aver fatto morire Cyril rifiutano la responsabilità dell'accaduto. Il padre infatti dice al figlio di inventarsi una storia secondo la quale Cyril sarebbe caduto da solo dall'albero.