lunedì 14 novembre 2011
Inception visto da Simone Belletti
lunedì 31 ottobre 2011
Melancholia, due punti di vista a confronto
Dal punto di vista simbolico e linguistico, però, questo film ha qualcosa che lo rende interessante.
martedì 25 ottobre 2011
Riflessioni su Arancia meccanica di Simone Belletti
martedì 18 ottobre 2011
I soliti idioti
1) Il rischio che questa operazione fallisca (non necessariamente in termini di incassi, ma soprattutto in termini di qualità) è alto. Le trasposizioni da tv a cinema sono spesso complicate e, salvo qualche rara eccezione (i primi Aldo, Giovanni e Giacomo, Checco Zalone), difficilmente riescono bene.
mercoledì 12 ottobre 2011
A proposito di Steve Jobs
venerdì 7 ottobre 2011
martedì 27 settembre 2011
Contagion
Non è un film di genere, alla Virus Letale tanto per intenderci. E quindi il tema dell'epidemia virale che si espande su scala mondiale resta ad un livello superficiale e non provoca tensione ed ansia nello spettatore.
Non è un film, come molti hanno sostenuto, sul tema dei media e di come possono propagare le notizie nell'era del 2.0. Questo tema, pur presente, resta infatti anch'esso ad un livello superficiale contraddistinto da un personaggio piatto e poco approfondito (il blogger interpretato da Jude Law) che non consente alcuna immedesimazione. Inoltre le riflessioni sulla controinformazione dei blog o sul diffondersi di notizie riservate non propongono nulla di nuovo, nessun nuovo spunto di riflessione, ma si limitano a riportare la situazione attuale dei nuovi media senza alcuna novità particolare.
Inoltre il film è condito da: una scena chirurgica in stile "Hannibal" del tutto ingiustificata e completamente avulsa dal tono della storia, un personaggio che viene rapito e del quale non si sa più nulla per tutto il film fino alla scena finale, questioni aperte e lasciate in sospeso senza alcuna motivazione narrativa (il blogger mentiva o era davvero malato?, la cura proposta dal blogger funzionava? il governo voleva davvero nascondere quella cura?) e momenti che dovrebbero essere l'apoteosi della tensione o dell'emozioni fatti passare senza alcuna carica emotiva (per esempio il momento della scoperta del vaccino).
Insomma..si è capito che non mi è piaciuto? :-)
martedì 26 luglio 2011
DVD: Il Grinta
domenica 24 luglio 2011
DVD: La versione di Barney
mercoledì 6 luglio 2011
I Liceali, un buon prodotto
lunedì 6 giugno 2011
The tree of life, che noia!
giovedì 19 maggio 2011
Nuovi linguaggi televisivi - Il testimone
venerdì 6 maggio 2011
Vivere (bene) anche senza Facebook
Si può ancora parlare di televisione in Italia?
Dopo il periodo delle origini, 1954-1960, durante il quale le preoccupazioni degli intellettuali e degli accademici erano dedicate soprattutto ai possibili effetti sociali del nuovo mezzo televisivo, c'è stato un periodo, riconducibile agli anni Sessanta, nel quale molti studiosi hanno dato grandi contributi all'analisi del mezzo che è stato scandagliato nella sua più profonda essenza linguistica di medium di massa da grandi nomi della cultura italiana come Umberto Eco, Alberto Abruzzese Francesco Alberoni. Ad un certo punto però qualcosa si è rotto, o per lo meno è intervenuto un elemento di disturbo: la politica. Ovviamente non vogliamo sostenere che chi parla, scrive, analizza il mezzo televisivo non debba occuparsi anche dei suoi aspetti politici, amministrativi ed economici. C'è la consapevolezza che la tv abbia rappresentato sempre di più nel corso della storia anche interessi economici e politici e che sia diventata un vero e proprio centro di potere. Era quindi necessario che anche il dibattito accademico se ne accorgesse e si occupasse di certe tematiche. Il problema si pone nel momento in cui il grande dibattito culturale sui mezzi di informazione sembra essersi arrestato (Monteleone, 1992, p.521) e le ingerenze dei partiti aprono un grande vuoto nell'esercizio delle grandi idee (Ibidem). Per un lungo periodo quasi più nessuno riesce ad occuparsi di televisione senza rimandare il proprio discorso alle vicende politiche del Paese. E la situazione si aggrava seguendo tre snodi temporali fondamentali: la riforma della Rai del 1975, la legge Mammì del 1990 e la discesa in politica di Berlusconi nel 1994.
Nel tentativo di garantire maggiore pluralismo e democraticità all'azienda, la riforma della Rai finisce per instaurare un meccanismo perverso legato alla pratica dell'occupazione di posti e spazi di potere (Sorice, 2002, p.111) in funzione di interessi di parte e di partiti, meccanismo che passa alla storia col termine di “lottizzazione”. Questa situazione lega a doppio filo il principale broadcaster italiano agli andamenti politici obbligando così gli analisti e gli studiosi della tv ad avere uno sguardo sempre influenzato dall'incombente presenza dei partiti che, solamente in teoria, non dovrebbero avere nulla a che vedere con i testi televisivi.
Il secondo snodo avviene con la legge Mammì del 1990, una legge volta a regolamentare il sistema radiotelevisivo italiano che sancisce e legittima il “duopolio imperfetto” Rai-Fininvest. Questa legge di fatto amplifica quall'anomalia che già era in atto dopo la riforma del 1975 e che da peculiarità del sistema radiotelevisivo si trasferisce anche nel dibattito accademico.
Il terzo e definitivo snodo avviene soltanto qualche anno più tardi, nel 1994, con l'ingresso in politica del proprietario di Fininvest, Silvio Berlusconi. La particolarità del sistema italiano diventa così ancora più singolare e questa somma di tre anomalie provocano effetti devastanti anche nell'approccio degli studiosi e degli intellettuali al mezzo. In un contesto in cui già tutto era politicizzato interviene a complicare ulteriormente la situazione l'anomalia berlusconiana. Infatti dal 1994 in poi la quasi totalità dei libri (con rare e già citate eccezioni come la storia di Grasso) che tratta tematiche legate alla tv italiana non può prescindere dal parlare di Berlusconi e della distorsione del sistema che il suo impegno politico comporta. Lungi da questa analisi entrare nel merito di discorsi politici che non ci competono, resta però l'impressione, estremizzando un po' i concetti, che mentre il mondo va avanti nel nostro Paese tutto si sia fermato. Si ha cioè la sensazione che mentre noi discutiamo da ormai sedici anni dell'opportunità che Berlusconi venda le sue televisioni, negli altri Paese la ricerca accademica sul medium sia andata molto avanti. Mentre noi guardiamo la tv sempre attraverso la lente d'ingrandimento della politica avvengono rivoluzioni tecnologiche epocali (alta definizione, 3D), cambiano i linguaggi e i formati, le trasmissioni e i canali attraverso cui trasmetterle. L'allarme lanciato da Grasso nella sua storia della televisione è valido più che mai. Come sottolinea il critico televisivo del Corriere «la maggior parte degli scritti sulla televisione ha quasi sempre privilegiato gli aspetti amministrativi, economici, istituzionali: serrate analisi sui partiti al potere, stringenti interrogatori sui «modi di produzione», minuziosi atti d'accusa sul ruolo della programmazione. Testi interessanti […] ma prigionieri di una dimenticanza: i programmi» (Grasso, 2004, p.10). Grasso scrive utilizzando il passato prossimo, noi constatiamo che la situazione non è cambiata ed è, se possibile, peggiorata ulteriormente. E se non si potrà rinunciare all'elemento politico nelle analisi sulla tv, l'auspicio è che comunque si smetta di rinunciare alla discussione sui programmi, sui linguaggi e sui contenuti della televisione.